martedì 10 luglio 2012

3° libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi

L’impatto della legge antidroga sul carcere

Aumentano gli ingressi in carcere per droga in rapporto al totale degli ingressi, dal 28% del 2006 al 33,15% del 2011 (25.390 su 90.714 e 22.677 su 68.411). Aumentano le denunce, specie per l’art. 73 (detenzione illecita a fini di spaccio), da 29.724 nel 2006 a 33.686 nel 2011 (di queste 14.680 sono per cannabis, pari al 41%, di cui 8.535 per hashish, 5.211 per marijuana, 1.416 per coltivazione di piante); gli arrestati corrispondono a 28.552, mentre nel 2006 erano 25.730. Le operazioni di polizia sono state 21.116 e i sequestri danno un aumento del 54,19% per la marijuana e del 29,43% dell’hashish e un meno 45,97 per l’eroina. Nel 2011 vi è stata una esplosione di sequestri di piante di canapa (563.198!). Raddoppiano i detenuti presenti in carcere per art. 73: dai 10.312 del 2006 ai 21.562 del 2011, il 32,67% del totale, se si calcola sia l’art. 73 che il 74 le cifre sono 15.133 nel 2006 e 27.856 nel 2011, il 42,21% del totale: si puo’ quindi dire che quasi la metà dei detenuti nelle carceri italiane è in cella per 2 articoli di una sola legge dello Stato. Dato che viene confermato anche dall’analisi dello stato processuale dei detenuti: su 28.636 detenuti imputati presenti in carcere al 17.11.2011 ben 11.380 sono per violazione della legge sugli stupefacenti; su 14.686 detenuti in attesa di primo giudizio al 17.11.2011 ben 5.593 per violazione legge stupefacenti; su 7.588 appellanti al 17.11.2011 ben 3.082 per violazione legge stupefacenti; su 4.718 ricorrenti al 17.11.2011 ben 2.076 per violazione legge stupefacenti; infine, sui 37.750 detenuti con condanna passata in giudicato, presenti al 27 novembre 2011, ben 14.590 (38,90%) lo sono per violazione della legge sugli stupefacenti.

La repressione sul consumo

Aumentano le segnalazioni al prefetto per mero consumo personale: da 39.075 segnalati nel 2006 a 47.093 nel 2008 (ultimo dato consolidato), nel 2009 il dato provvisorio era di 37.800. Il 74% dei segnalati era in possesso di un solo spinello! Va ricordato, come esempio di persecuzione di massa che dal 1990 al 2010 le persone segnalate ai prefetti per le sanzioni amministrative sono state 783.278. Più che raddoppiate le sanzioni irrogate: da 7.229 nel 2006 a 16.154 nel 2010 mentre crollano le richieste di programmi terapeutici: da 6.713 nel 2006 a 518 nel 2010. Non solo questa legge punisce con sanzioni molto pesanti i semplici consumatori (ad esempio con il ritiro della patente), ma ha avuto anche l’effetto di allontare i consumatori problematici dall’accesso ai programmi terapeutici, come possiamo capire anche dai dati qui di seguito.

Le misure alternative al carcere

Diminuiscono le misure alternative: da 3.852 persone in affidamento nel 2006 a 2.816 al 30 maggio 2012. Ovvero nonostante le promesse di Giovanardi e Serpelloni i consumatori, anche problematici restano in carcere perchè è sempre più difficile accedere alle misure alternative. E, per sottolineare la centralità del carcere per il consumatore di sostanze mentre prima del 2006 la maggioranza dei tossicodipendenti godeva dell’affidamento direttamente dallo stato di libertà, con la nuova legge il rapporto si è invertito. Al 30 maggio 2012, 1.854 persone erano in affidamento dopo essere passate dal carcere, a fronte di 962 soggetti provenienti dalla libertà.

Conclusioni

Il sistema repressivo punta al basso: i dati complessivi ci dicono che la gran parte delle persone che entrano in carcere per la legge antidroga sono consumatori o piccoli spacciatori, con particolare preferenza sulla cannabis e con una recente predilezione per i coltivatori (spesso autoproduttori). L’impatto carcerario della legge antidroga è la principale causa del sovraffollamento negli istituti di pena italiani. All’aumento della carcerazione e delle sanzioni amministrative corrisponde un abbattimento dei programmi terapeutici.
I dati forniti annualmente dalla Relazione del Governo al Parlamento sono in parte carenti, in parte inaffidabili e soprattutto reticenti: in particolare mancano a livello nazionale i dati sulle condanne per l’ipotesi di lieve entità dell’art. 73. Una ricerca in profondità condotta in Toscana mostra che il 40% dei detenuti sono in carcere per reati di droga minori: si tratta spesso di consumatori che semplicemente detenevano quantità superiori al limite tabellare e sono stati trattati alla stregua di spacciatori.
E’ urgente una modifica della legge, iniziando da norme di riduzione del danno già in questa legislatura, che definiscano come reato autonomo l’ipotesi di lieve entità dell’art. 73 con una pena ridotta che escluda l’ingresso in carcere, che si cancelli la legge Cirielli sulla recidiva, che si rendano di nuovo praticabili le alternative terapeutiche, sia per le condanne carcerarie che per le sanzioni amministrative.


domenica 15 aprile 2012

Gramsci Source


Digital Library

GramsciSource è una Digital Library attraverso la quale la International Gramsci Society (IGS) intende mettere a disposizione di tutte e tutti (studiose/i, lettrici/lettori, appassionate/i e anche semplici curiose/i) le opere di Antonio Gramsci in formato digitale, nonché informazioni sulla sua vita e sul suo pensiero, sul dibattito scientifico e filologico intorno alle sue opere e sulle loro diverse edizioni, sulla loro traduzione, sulla storia della critica e su altri aspetti relativi a Gramsci e alla sua presenza nel mondo di oggi.

L'inizio di un lungo lavoro

Questo lavoro – destinato a proseguire nel tempo e ad ampliarsi, fino a comprendere tutte le opere di Gramsci e la loro traduzione in molte lingue, la riproduzione dei manoscritti delle principali opere, la digitalizzazione di diversi testi storici e critici su Gramsci – inizia oggi a cura della IGS Italia (www.igsitalia.org) e del Centro interuniversitario di ricerca per gli studi gramsciani, sotto la supervisione del Comitato scientifico internazionale appositamente nominato dalla IGS. Sono chiamati a concorrere al sito – sotto forma di lavoro, di fornitura di testi e materiali, di conoscenze, di contributi finanziari – tutti quegli enti, istituti, associazioni e singoli interessati allo sviluppo dello studio e della conoscenza di Gramsci.

Cosa offre GramsciSource

GramsciSource inizia con la messa a disposizione del pubblico dei Quaderni del carcere. I testi vengono presentati secondo un ordine autonomo, proprio di una edizione originale, pur mantenendo la numerazione delle note attribuita da Valentino Gerratana nella sue edizione critica del 1975. In futuro la DL GramsciSource si nutrirà dei contributi delle diverse edizioni e renderà possibile l’integrazione e il confronto fra esse.

Associazioni e Istituzioni

La IGS, la IGS Italia, il Centro interuniversitario di ricerca per gli studi gramsciani sono associazioni e istituzioni senza fini di lucro. Essi hanno cura di assicurare la qualità e la scientificità del materiale reso disponibile nella Digital Library.

sabato 26 novembre 2011

Come provocare le catastrofi


Così arretrata sul piano giuridico e culturale, non è da meravigliarsi se l'Italia, come qualcuno ha giustamente detto, è il paese che sa meglio predisporre, organizzare e provocare quelle catastrofi che poi per consuetudine linguistica, continuano ad esser dette "catastrofi naturali". Le frane e le alluvioni che a intervalli regolari devastano l'ex giardino d'Europa hanno la loro causa prima nel disprezzo che dimostriamo per l'ambiente naturale, nelle insensate manomissioni cui abbiamo sottoposto il nostro territorio, nel rifiuto di conoscere il suolo in cui operiamo, nell'incapacità di esprimere una politica di piano che controlli trasformazioni e sviluppo, subordinandoli all'interesse pubblico.
Un primo panorama del disordine (primo della lunghissima serie di convegni, dibattiti, appelli che poi sarebbe seguita) ci venne presentato, ed era già tardi, nel 1964 in un congresso dell'Accademia dei Lincei, nel quale, tra l'altro, si diceva quanto segue. Con l'uso indiscriminato di insetticidi e anticrittogamici eliminiamo gli insetti necassari alle colture e alla fecondazione delle piante, e quindi sterminiamo gli uccelli che se ne cibano, compresi quelli utili all'agricoltura. Con la caccia incontrollata completiamo la strage della fauna, e desertifichiamo le campagne. Con gli scarichi industriali avveleniamo le acque, i pozzi, le colture, gli animali domestici. Con le bonifiche, attuate al di fuori di ogni seria valutazione economica, eliminiamo le paludi che sono la naturale valvola di sfogo dei corsi d'acqua.
Con gli impianti idroelettrici prosciughiamo le acque sottorranee e di superficie, inaridiamo il manto vegetale, minacciamo flora e fauna, trasformiamo fiumi e torrenti in una serie di greti asciutti, che poi gli scarichi degli abitati trasformano in pozze luride e infette. Col pretesto del turismo, in realtà per speculazione, lottizziamo e privatizziamo perfino i parchi nazionali, "santuari della natura", orgoglio dei paesi civili. Col disboscamento e il mancato rimboschimento favoriamo l'erosione, le frane, la furia delle acque selvagge, con le conseguenze a tutti note.
All'abbandono della campagna non abbiamo saputo far seguire un'opera sistematica di difesa del suolo, nel quadro di una moderna politica territoriale. Con la distruzione del verde nelle città e la costruzione di quartieri congestionati e incivili, favoriamo l'inquinamento dell'aria, priviamo la gente di ogni possibilità di ricreazione ed esercizio fisico, con gravi effetti sulla salute di giovani e adulti. E via dicendo.
Quel protocongresso ecologico terminò con voti e auspici che, come tutti quelli che poi sono seguiti, non hanno minimamente impressionato i destinatari, gli uomini di governo. Quanto siamo venuti facendo è così sistematico, incosciente e irresponsabile che sembra davvero ubbidire ad alcuni principi generali di efffetto sicuro, che sono appunto i più adatti a provocare il dissesto del suolo, allagamenti, alluvioni e altre calamità "naturali". Quali sono? Ce li illustra una rivista francese, in un'intervista col responsabile della politica ambientale di un paese immaginario, molto esperto nella nuova arte: "comment organiser les catastrophes".
Eccone qualcuno. Allevare nelle scuole "tecnici" specializzati quanto insensibili a ogni impegno politico-culturale, e convinti della superiorità della propria specializzazione su ogni altra. Fare in modo che le diverse amministrazioni (agricoltura e foreste, lavori pubblici, pubblica istruzione, industria e commercio, ecc.) agiscano come compartimenti stagni, rifiutando ogni coordinamento e visione globale dei problemi. Diffidare da quegli enti di cultura disinteressati (come sarebbero per esempio "Italia nostra", il Fondo mondiale per la natura, l'Istituto nazionale di urbanistica, ecc.) che si battono contro l'insensato sfruttamento delle risorse e per la difesa del patrimonio culturale e naturale. Infine e soprattutto, elaborare solo piani di settore, puntare sul vantaggio economico immediato, profittare al massimo, senza preoccuparsi delle conseguenze, dell'illimitata capacità degli uomini e delle forze economiche di cambiare a piacimento l'ambiente della nostra vita.
Impassibile e soddisfatto, l'intervistato ci illustra i risultati di così brillanti indirizzi. Dighe costruite a regola d'arte che crollano ai primi movimenti di terra non previsti dai tecnici del cemento armato, ma previsti dagli inascoltati geologi, splendide bonifiche sommerse in un attimo dalla furia delle acque, perchè gli economisti della barbabietola non hanno datto retta agli esperti di difesa idrogeologica del suolo; efficienti arginature di fiumi che saltano alla prima occasione, grazie al sistematico disboscamnto operato in montagna dai forestali, per i quali un albero comincia a valere qualcosa soltanto quando è segato; grandiosi insediamenti turistici in collina portati via dalle frane perchè gli impianti idroelettrici (o forse vogliamo "tornare al lume di candela?") hanno poco a poco inaridito il manto vegetale; complessi industriali in riva al mare i quali, inquinando irreversibilmente le acque e distruggendo ogni attrattiva paesistica, eliminando alla base ogni noiosa controversia sull'utilizzazione delle coste. E via di questo passo: Con il che, osserva l'autorevole personaggio, vengono una buona volta evitati i complicati e pericolosi problemi politici posti da una pianificazione coordinata: e inoltre, nei casi più clamorosi, si concorre a risolvere in modo drastico e spicciativo alcuni tra i maggiori malanni che affliggono in varia misura sia i paesi ricchi che quelli poveri: sovrapopolazione, sovraproduzione, sottoalimentazione, ecc.
Tutto ciò sembra calzare prfettamente con quanto avviene da noi. Ad esmpio: come fare per distruggere Venezia? Si prosciughino e interrino migliaia di ettari di barene e la laguna, fino a ieri bacino elastico e autoregolantesi, diventerà un catino dalle sponde rigide, con conseguente aumento della velocità delle acque di deflusso, aggravamento dell'erosione delle fondamentadegli edifici e allagamento sempre più grave dell'isola storica. Si scavino in continuazione pozzi d'acqua dolce, e accelereremo lo sprofondamento dell'illustre città. Si faccia il nuovo canale per le superpetroliere, si relaizzi la terza zona industriale, e la laguna potrà essere finalmente trasformata in mare di petrolio: avremo così posto tutte le premesse perchè Venezia (nel frattempo "restaurata" dalle società immobiliari, e quindi distrutta nei suoi valori umani e storici) salti finalmente per aria con tutti i suoi abitanti al primo scoppio di petroiera. Oltretutto, sarà un bello scherzo all'italiana alla faccia del mondo che ci ha prestato i miliardi per "salvare" questo inutile avanzo del passato: che già il padre dei futuristi avava con animo profetico definito "piaga purulenta d'Italia", "calamita dello snobismo e dell'imbecillità universali", "semicupio sfondato per cortigiane cosmoplite", "cloaca massima del passatismo".


Antonio Cederna, La distruzione della natura in Italia, Torino, Einaudi, 1975

mercoledì 24 agosto 2011

Antonio Gramsci - Quaderni del Carcere (edizione digitale 2007 - a cura di Dario Ragazzini)

Il Cd Rom dei Quaderni del Carcere, a cura di Dario Ragazzini, prima versione digitale del capolavoro gramsciano, con le fonti, i rimandi, le occorrenze, la possibilità di raffrontare le diverse versioni delle note, di cui quei manoscritti sono fatti. Uno strumento formidabile per seguire passo passo non solo l’ordine cronologico dei Quaderni, magistralmente ricostruito a suo tempo da Valentino Gerratana. Ma anche quello ideale e tematico, sotteso in filigrana come progetto a venire del prigioniero pensante. L’altro dono è un’antologia: Le Opere, a cura di Antonio A. Santucci. Ripubblicata a diciasette anni dalla sua prima comparsa per gli Editori Riuniti per la collana le «Chiavi del tempo». Che mantiene intatto il suo carattere di rigoroso «thesaurum» filologico e diacronico, e che anzi resta come esempio di come andrebbe fatta un’antologia. Non scelta più o meno arbitaria quindi, legata ai gusti del curatore. Bensì in questo caso, autentico gesto di lettura sintetica, che dà conto in sviluppo delle idee dell’autore, così come si venivano formando nel vivo della sua battaglia (è la parola giusta per Gramsci). E qui mi sia consentita una divagazione, necessaria. Poiché chiarisce il senso di un volume, che è di per sè un’«opera». Antonio Santucci, scomparso prematuramente nel 2004, non solo era un amico de l’Unità, per la quale concepì volumi e iniziative gramsciane di formidabile spessore e successo. Fu un grande studioso di Gramsci, che accanto a Valentino Gerratana, fu protagonista di uno degli eventi più importanti per la cultura italiana: l’edizione critica, la prima, delle Opere di Gramsci per Einaudi. Anche grazie a lui è stato possibile ripristinare tutti i testi di cui parliamo, datarli, disporli, salvaguardarli. Inquadrarli. E ciò ben prima (1975) della prossima edizione nazionale degli scritti per l’Enciclopedia Italiana della Fondazione Istituto Gramsci, che verrà presentata a giorni al Capo dello Stato in Sardegna. Grazie al lavoro di Gerratana e Santucci, e senza dimenticare l’apporto infaticabile di Elsa Fubini, Caprioglio, Dino Ferreri, Spriano e tanti altri di quella stagione, il pianeta Gramsci è stato reso percorribile e anche «preparato» per ulteriori sistemazioni, che nondimeno non possono prescindere dalla mappatura del 1975. Dunque, chi aprirà l’antologia di Santucci, per formarsi una sua idea del Gramsci pensante, sa di essere in buone mani. Perché, e possiamo testimoniarlo personalmente, non v’era nessuno come Antonio in grado di agguantare il flusso fulmineo e stenografico dei pensieri gramsciani. E di districarne la selva, guidandovi dentro i profani.

Qual è il pregio di questa «antologia» strepitosa, con limpide istruzioini per l’uso, note contestualizzanti e indice dei nomi? Quello di una cronologia tematizzata. Che fa capire gli impulsi, e gli influssi temporali, che Gramsci accoglie e trasforma reattivamente. Illuminando al contempo il metodo di lavoro del prigioniero, allorchè si trovò ristretto in cella. Insomma, tra gli scritti giornalistici giovanili per il Grido del popolo e le splendide, attualissime pagine dei Quaderni su «Americanismo e fordismo» che chiudono idealmente il volume, c’è tutto Gramsci. Tutto, con le critiche teatrali, gli articoli sull’Ordine Nuovo e l’Avanti! - incluso il celebre «La rivoluzione (russa) contro il Capitale» del 1917 - lo scritto sulla Quistione meridionale, e la famosa polemica con Togliatti del 1926, riportata pari pari nel suo drammatico svolgimento epistolare, prima dell’arresto di Gramsci. Da un lato in quell’anno il realismo di Ercoli, che vede come necessità politica le misure contro l’opposizione di sinistra in Urss. Dall’altro la preveggenza di Gramsci, benché d’accordo con il Comintern, contro Trotsky: la disciplina forzosa «svuoterà» l’opera dei bolscevichi e renderà lo stato proletario una caserma autocratica. Nessuna elusione, nessuna celebrazione del «santino». Gramsci è lì cocciuto, nel 1926 e in altri momenti, a rivendicare la sua idea eretica della rivoluzione e della politica contro ogni tatticismo. E in tempi davvero tragici, di lealtà indiscusse, incipiente terrorismo staliniano e consolidantesi terrorismo fascista.
Qual è il problema di Gramsci, prima e dopo l’arresto, pur nella discontinuità della fase autocritica? Semplice, si fa per dire: un «pensiero-azione» della liberazione. Una filosofia pratica dell’emancipazione delle classi subalterne. Che passa attraverso due momenti.
La ricognizione delle sconfitte popolari, durante il Risorgimento e col fascismo. E la comprensione del quadro mondiale, con lo spostamento del baricentro del «progresso» dalla rottura russa del 1917 alla nuova economia globale americana. Con in mezzo le «modernizzazioni conservatrici» fasciste, del pari contraccolpi della guerra e del sommovimento ad Oriente che spezza il mercato mondiale. E qui comincia la lunga marcia del pensiero di Gramsci. Il tentativo di indicare la strada ai «ceti subalterni» dentro la modernità della «società civile», addestrando individui e gruppi al governo capillare di istituzioni, economia e società. «Prima» della presa del potere, e scongelando le «forme simboliche» di cui il potere si nutre. Sul territorio, nella scuola, nelle riviste, nei giornali, nelle unità economiche. Nel «folklore» e nel senso comune. Un lavorìo democratico, tra scontri e alleanze. Dove l’impegno «filosofico» più alto è proprio la politica come intellettualità collettiva, dialogata e conflittuale. E dove la posta in gioco è sempre quella. Ieri con Gramsci, oggi dopo di lui. Rovesciare il gioco dei dominanti. Senza lasciarsi decapitare dalla passività e dal trasformismo. In fondo la «filosofia della praxis», anima delle idee di Gramsci era questa. Un lungo viaggio della libertà.

da Gramsci, quel lungo viaggio della libertà, di Bruno Gravagnuolo, L’Unità 26.4.07


Già da tempo era in circolazione (su torrent) la copia anastatica in pdf dei "Quaderni", la quale però non permetteva la ricerca di frasi o parole all'interno del testo. Questa edizione, della quale sono venuto a conoscenza poco tempo fa e che pare sia passata nell'anonimato (almeno in internet), permette invece ricerche lessicali avanzate sia nel testo che nelle note (per queste ultime è possibile persino effettuare confronti paralleli).
Il file l'ho trovato (incredibilmente) in stato di incuria e di abbandono sul vecchio eMule. Ho scritto delle istruzioni per l'installazione, spero sufficientemente chiare, e le ho aggiunte nella cartella (.rar).
Buona lettura.

lunedì 22 novembre 2010

Tumblr

http://selvaggiamente.tumblr.com/

mercoledì 6 ottobre 2010

Throbbing Gristle live performances 2010



23rd Oct - LONDON VILLAGE UNDERGROUND, UK
30th Oct - PRAGUE ARCHA THEATRE, Czech Republic
 2nd Nov - BOLOGNA, ITALY
 5th Nov - PORTO CASA MUSICA, Portugal
 4th Dec - ATP, MINEHEAD, UK

http://throbbing-gristle.com

venerdì 1 ottobre 2010

Una montagna di balle

Una Montagna Di Balle from spazzatour on Vimeo.

E' uscito un anno fa ed è stato girato tra il 2003 e il 2009 ma le ultime proteste di Terzigno e più in generale la situazione dei rifiuti in Campania lo rendono attualissimo.

Dal 2003 al 2009, un gruppo di videomakers, ha documentato la cosidetta emergenza rifiuti Campana per svelarne gli ingranaggi, individuare responsabilità e attori di quindici anni di gestione straordinaria. Uno spettacolo costato miliardi di euro e decine di processi in corso. Ma dove finiscono i rifiuti campani? Quali sono le ferite di una terra bruciata e i danni alla salute di milioni di persone? Il più grande disastro ecologico dellEuropa occidentale raccontato dalle voci delle comunità in lotta per difendere il proprio futuro: l'assalto ai fondi pubblici, le zone d'ombra della democrazia, il boicottaggio della differenziata, le collusioni con le ecomafie e le proposte di chi si interroga seriamente sulle alternative.

E se vivere in emergenza fosse solo una strategia per accumulare profitti!?

Da un'idea di Sabina Laddaga, Maurizio Braucci e Nicola Angrisano Voce narrante di Ascanio Celestini
Musiche di Marco Messina
Regia di Nicola Angrisano


http://docutrashfilm.noblogs.org/

martedì 31 agosto 2010

Rest in vinyl

Quando l'album chiamato vita giunge alla conclusione non sarebbe bello fare in modo che quel disco continui a girare per l'eternità? Vi offiramo la possibilità di stampare le vostre ceneri in un vinile che i vostri cari custodiranno per generazioni.
Registrate un messaggio personale, le vostre ultime volontà/testamento, la vostra colonna sonora o semplicemente stampate le vostre ceneri per ascoltare i vostri pops & crackles per un approccio minimale.

dal sito And Vinyly; via Boing Boing

Finalmente una valida alternativa alla tumulazione.

venerdì 27 agosto 2010

Crashkurs - Appunti sulla crisi finanziaria

Perché lo scoppio della bolla finanziaria non è da imputarsi all’avidità dei banchieri e non è possibile alcun ritorno al “capitalismo del welfare”.

Una nuova “leggenda della pugnalata alle spalle” (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Dolchstosslegende) sta facendo il giro del mondo: la “nostra economia” sarebbe caduta vittima della sconfinata avidità di un pugno di banchieri e speculatori. Ingozzati dalla conveniente moneta della Banca Centrale degli USA (la Federal Reserve) e coperti da politici irresponsabili, costoro avrebbero portato il mondo alle soglie dell’abisso, mentre gli “onesti” verrebbero una volta di più presi per il naso.
Niente è oggettivamente più falso e ideologicamente più pericoloso di questa diffusa rappresentazione che passa attraverso tutti i canali dell’opinione pubblica. Le cose stanno esattamente al contrario. Il mostruoso rigonfiamento dei mercati finanziari non è la causa della miseria, bensì è esso stesso un tentativo di contrastare la crisi fondamentale con la quale la società capitalistica lotta già dagli anni ’70. In quel periodo giunse a termine, con il boom economico successivo alla seconda guerra mondiale, un lungo periodo di crescita dell’economia reale, reso possibile dalla generalizzazione del modo di produzione industriale e dal suo ampliamento verso nuovi settori come la produzione dell’automobile. Per la produzione di massa degli anni ’50 e ’60 erano necessarie grosse quantità di forza lavoro, che da essa traevano il proprio salario che a sua volta permetteva loro di fruire della massa delle merci. Da allora l’ampia e diffusa razionalizzazione dei settori chiave della produzione per il mercato mondiale, che ha sempre più sostituito la forza lavoro con processi automatizzati, ha distrutto questo meccanismo e con esso i presupposti per un nuovo boom economico sorretto dall’economia reale. La crisi capitalistica classica è stata soppiantata dalla fondamentale crisi del lavoro.

Forza lavoro svalorizzata=umanità “superflua”


È un risultato tipico delle folli contraddizioni del modo di produzione capitalistico il fatto che l’enorme aumento di produttività ottenuto grazie alla “rivoluzione microelettronica” non renda possibile un buon livello di vita per tutti. Al contrario: il lavoro viene compresso, i ritmi di lavoro accelerati e i salari ridotti. Dappertutto nel mondo sempre più persone devono vendersi alle peggiori condizioni poiché la loro forza-lavoro è sempre più deprezzata in relazione al livello di produttività vigente.
Alle contraddizioni del capitalismo appartiene però anche che esso stesso mina i propri fondamenti, poiché una società che si basa sullo sfruttamento della forza-lavoro umana incontra i propri limiti strutturali quando essa rende superflua in sempre più crescente misura questa stessa forza-lavoro. La dinamica dell’economia mondiale è tenuta in corsa, oramai da più di 30 anni, solo da una sempre crescente bolla speculativa e creditizia (“capitale fittizio”). Il capitale ha iniziato a rivolgersi verso i mercati finanziari perché l’economia reale non offriva più alcuna soddisfacente possibilità di investimento. Gli stati si sono indebitati per sanare i bilanci e sempre più persone hanno iniziato a finanziare i loro consumi direttamente o indirettamente con il credito. In questo modo la sfera finanziaria è divenuta l’”industria di base” del mercato mondiale e il motore della crescita capitalistica. La tanto decantata economia reale non è dunque stata “schiacciata” dalla sfera finanziaria, al contrario, essa ha potuto rifiorire solo come sua appendice. Il “miracolo economico cinese” e la “Germania campione mondiale dell’export” degli ultimi decenni non avrebbero potuto esistere senza questo gigantesco circuito di indebitamento globale, con gli USA a giocare un ruolo centrale

Stato di emergenza e stagflazione


Questo continuo procrastinare la crisi ha raggiunto i suoi limiti. Non c’è comunque da esserne troppo felici. Gli effetti potrebbero essere drammatici, poiché adesso l’insieme di crisi e svalorizzazione accumulatosi negli ultimi trenta anni potrebbe scaricarsi con estrema violenza. La politica può al massimo influire sui ritmi e sul corso di questo processo, tuttavia non può fermarlo. Le miliardarie “manovre anti-crisi” possono fallire, e la crisi rovinerebbe sulla cosiddetta “economia reale” con conseguenze catastrofiche, oppure possono riuscire a “tenere” ancora una volta, causando però un esorbitante aumento del debito pubblico che porterà ad un nuovo gigantesco collasso finanziario in un prossimo futuro. Il ritorno della “stagflazione” – inflazione galoppante combinata ad una contemporanea recessione – è già in corso, ad un livello più alto di quello degli anni ’70.
Negli ultimi decenni i salari sono stati fortemente compressi, le condizioni di lavoro precarizzate e gran parte del settore pubblico privatizzata, tanto che una parte insospettabilmente più grande del previsto di persone, e in quantità sempre più crescente, è diventata semplicemente superflua. Il tanto reclamato “ruolo rinnovato dello stato” non ha la minima chance di ricreare un nuovo “welfare-capitalismo” stile anni ’60-’70, con la piena occupazione e un crescente benessere collettivo. Al contrario, servirà solo ad organizzare ed amministrare l’esclusione sociale, razziale e nazionalistica. Il ritorno della “politica regolativa” e del “capitalismo di stato” è concepibile solo nella forma di uno stato di emergenza repressivo e autoritario.

Il mondo è troppo ricco per il capitalismo

L’attuale crisi dei mercati finanziari segna un punto di non-ritorno nell’epoca del capitale fittizio e con ciò la crisi fondamentale del capitalismo, visibile sin dagli anni ’70, raggiunge un nuovo livello. Questa crisi non è quella di uno specifico “sistema anglo-sassone” del “neo-liberismo”, come viene talvolta affermato a seguito di mobilitazioni mosse da un sentimento anti-americano con venature anti-semitiche. Piuttosto ciò che si mostra adesso è che il mondo è troppo ricco per il miserabile modo di produzione capitalistico, che la società è destinata a frantumarsi, inselvatichirsi ed essere ridotta alla mercé della miseria, della violenza e dell’irrazionalità se non riesce ad oltrepassarlo una volta per tutte.
Il problema non sono gli “speculatori” o i mercati finanziari, bensì l’assurdità di un sistema sociale che produce ricchezza solo come prodotto di scarto della valorizzazione del capitale, sia essa reale o fittizia. Il ritorno ad un capitalismo solo apparentemente stabile, fondato sull’impiego di enormi masse di lavoratori, non è più possibile né auspicabile.
Ogni sacrificio che ci venga richiesto per mantenere in vita la (auto)distruttiva dinamica di questo folle modo di produzione e di vita è una sberleffo alla dignitosa esistenza che già da lungo tempo sarebbe possibile vivere in una società emancipata dalla produzione delle merci, dal denaro e dallo stato. La crisi mette in questione l’intero sistema. Sta a noi, adesso, trovare la risposta.

Gruppo Krisis
, dicembre 2008.
(www.krisis.org)

martedì 24 agosto 2010

Ripensare l'automobile?